Campionato1983-84: vana rincorsa a bis tricolore

Con Ciccio e Cerezo

Non ci sono più Vierchowod e Prohaska. Liedholm punta su Righetti e sui nuovi giallorossi: il brasiliano estroverso e Graziani. E' una gran lotta con la Juve che alla fine sopravanza la Roma di soli due punti. Intanto Viola pensa a un nuovo mister...

Era una delle trasferte europee della Roma. Un primo pomeriggio sonnolento, sull'aereo tutto occupato dalla squadra, dai giornalisti e da dirigenti con seguito. Dino Viola percorse il corridoio pencolando da una parte all'altra, c'era un po' di turbolenza, e si appoggiò sulla nostra spalla. Lo vedemmo turbato.«Dove vai, Dino?». Si dirigeva verso la cabina di pilotaggio. Era, la nostra, una domanda retorica che non attendeva risposta. La risposta invece arrivò, dirompente. «Vado a licenziare Liedholm». Viola si calmò, poi con recuperata freddezza cominciò a spiegarsi. E raccontò il suo disagio. Riteneva esaurita l'esperienza romanista di Liedholm, era meglio affrontare subito la questione. Ma com'era possibile, se la Roma era ancora in corsa per lo scudetto e se avrebbe potuto vincere la Coppa Campioni? No, disse Viola, non era un fatto tecnico: Nils aveva appena avanzato alcune richieste economiche, in vista del rinnovo del contratto, e il presidente le giudicava inaccettabili. «Tanto più, precisò e concluse, che durante la stagione ho corretto più volte l'ingaggio, naturalmente aumentandolo».

Senza Vierchowod

Viola non tornò più sul suo sciagurato proposito, che avrebbe lacerato la Roma in un momento delicatissimo: la Juve aveva scatenato la sua controffensiva e guidava la classifica, la Roma faticava a difendere lo scudetto.
Quindi Liedholm rimase al suo posto; ma il distacco dalla Roma era già avvenuto, nell'animo del presidente, e maturava anche concretamente: Viola aveva preso segreti contatti e preparava un'altra delle sue memorabili battaglie contro il Palazzo. L'ingegnere voleva portare in panchina un allenatore straniero. Era quello svedese timidissimo, che la sera della finale con il Liverpool avremmo riconosciuto seduto in tribuna Tevere, confuso tra i tifosi sotto le mentite spoglie di osservatore neutrale: Sven Goran Eriksson. Il campionato dunque provocava qualche inquietudine.
Il motivo dominante era ancora il duello tra Roma e Juventus, le due regine di quegli anni: una lotta ad oltranza, una sfida infinita. La Roma si era portata in testa ad un certo momento, ma poi la Juventus aveva preso a viaggiare con un vantaggio medio di due punti. E quella sembrava la differenza. Determinata da che cosa? Da un fattore tecnico e da uno psicologico. Il fattore tecnico era costituito dalla partenza di Pietro Vierchowod, che la Sampdoria aveva deciso finalmente di tenersi: e da dodici stagioni Vierchowod, che dichiarava di avere una patria in ogni luogo, vive sotto la tenda blucerchiata. Naturalmente ha vinto lo scudetto, con la Samp; come lo aveva vinto con la Roma, come era stato sul punto di vincerlo con la Fiorentina di Picchio De Sisti allenatore, beffata all'ultima giornata. Il primo ad avvertire il disagio della nuova situazione tattica era Agostino Di Bartolomei, che protetto da Vierchowod e dai suoi recuperi che governavano il settore difensivo, aveva recitato un ruolo improprio. Tanto è vero che anche Ago, alla fine della stagione, avrebbe lasciato la Roma, vittima innocente.

Cerezo, oscar simpatia

Ma nell 'insieme, cos' era cambiato nella Roma chiamata a difendere lo scudetto? Molto, come abbiamo visto, con la partenza di Vierchowod: e moltissimo se si pensa che non c'era più neppure Herbert Prohaska, l'uomo-ombra. Liedholm e Viola erano incolpevoli per quanto riguardava Vierchowod, che la Samp aveva ritirato dal mercato dei prestiti; un po' meno innocenti erano, allenatore e presidente, per quanto riguardava l'austriaco che, sedotto e abbandonato, aveva rifatto le valigie senza portarsi dietro neppure, come ricordo, un biglietto di ringraziamento. TI fatto è che Dino Viola si era innamorato di un altro brasiliano, Antonio Carlos Cerezo, nato a Belo Horizonte, centrocampista dell' Atletico Mineiro. Cerezo viaggiava sulla trentina ed era l'esatto contrario di Falcao. Nel mondo di Paulo Roberto regnavano la logica, la precisione, una fantasia messa al servizio della ragione. Nel regno di Cerezo c'era una rivoluzione continua: cozzavano tra loro genio, improvvisazione, entusiasmo smodato: e poi ancora pigrizia, abbandono, indifferenza.
Falcao sapeva tutto di tutti, Cerezo non sapeva niente di nessuno. Falcao studiava le sue partite, in base alle caratteristiche degli avversari, Cerezo sapeva solo di che colore erano le maglie. Se Falcao dava un appuntamento arrivava dieci minuti prima, Cerezo fissava un appuntamento alle nove poi dava ordine di non essere svegliato prima di mezzogiorno. Falcao aveva una riservatissima vita privata, Cerezo viaggiava a capo di una tribù di figli e parenti scatenati, terrore di tutti i portieri d'albergo e di condominio. Eppure anche Cerezo, in campo, seguiva progetti ben definiti. Che avesse una statura tecnica superiore a quella di Prohaska, nessuno poteva negarlo: era un confronto improponibile. Che sapesse battersi e lottare duramente, era innegabile. Insomma, in Tonino c'era una specie di dissociazione: appena entrava in campo, usciva dal suo disordinato mondo privato e si metteva umile al servizio della squadra.

Graziani, figliol prodigo

In difesa, e qui torniamo a Vierchowod, qualche smagliatura e qualche disagio erano evidenti. Nella Roma si era affermato un giovane difensore, Ubaldo Righetti, cui Liedholm decise di affidare responsabilità di titolare. Nessuno potrà mai dire che Righetti abbia tradito la fiducia in lui riposta: al contrario, la sua fu una carriera fulminante. Imponente ragazzone di solida e sana tradizione popolana, Righetti, nato a Sermoneta, a vent'anni era già in Nazionale: un bel pedigree. Enzo Bearzot prese una cotta per lui. Un giorno in Romania, dove era impegnata la Nazionale Under 23, durante un allenamento disturbato da un vento accanito, il C.T. venne a rifugiarsi tra noi, sul pullman della squadra. Soprattutto, il C.T. illustrò la personalità del nuovo fuoriclasse del calcio italiano, Righetti appunto: il quale, secondo Bearzot, possedeva le qualità del {{difensore totale e universale». Messe cosi le cose, la Roma a chi altri poteva affidarsi, in assenza di Pietro Vierchowod? Quell'anno tornò anche il figliol prodigo e fu grande festa. Era Ciccio Graziani, ciociaro anche lui, seppur di confine; rinnegato in patria e costretto a cercar fortuna in terra straniera. Diventato torinista, Ciccio lottò ferocemente contro la luve, cosi placando in parte i suoi rimpianti di romanista mancato. Insomma, non si può dire che la Roma trascurò di attrezzarsi per difendere lo scudetto. Eppure qualcosa non funzionò e la luve si prese la rivincita. Purtroppo proprio Ciccio Graziani, nei suoi entusiasmi ritrovati, in quella sua seconda giovinezza, a vederlo cosi diligentemente impegnato, mise il sigillo ad una stagione nata storta. Alludiamo proprio alla famosa finale con il Liverpool decisa ai rigori, che tra poco vedremo in tutta la sua sciagurata sequenza. Quella finale che rappresentò non solo la lacerazione di un sogno ma anche la fine del progetto «Grailde Roma» elaborato da Dino Viola.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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